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sabato 20 agosto 2011

Recensione di Lorenzo Spurio


Fabiana Parenti, giovane scrittrice piacentina, esordisce nel mondo letterario con un romanzo dal titolo affascinante ed evocativo, Il mondo attraverso i miei occhi, nel quale, più che abbandonarsi a una sua biografia romanzata, veste i panni di una sua amica, raccontandone pensieri, dolori ed ossessioni in maniera attenta. Così la psicologia del personaggio è tratteggiata in maniera estremamente curata e solo leggendo le varie pagine del romanzo siamo in grado di comprendere la timidezza, il senso di insicurezza della protagonista e la sua solitudine patologica. La Parenti ci fornisce uno sguardo a tutto tondo sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, non mancando di tratteggiare anche i primi amori, i primi incontri e tutti gli altri momenti che costituiscono dei veri riti di passaggio dall’adolescenza al mondo della maturità.
Quello che utilizza  è un linguaggio piano, scorrevole, che rifugge da qualsiasi verbosità o lungaggine. E’ una prosa diretta, semplice, quasi condensata. La Parenti evita di dirci ciò che sarebbe superfluo e tesse assieme magistralmente i vari episodi che narra scandagliando a fondo l’io della protagonista. Ma tutta la storia ha la forma di una continua ed esasperata ricerca d’identità, dell’individuazione della propria personalità (più volte la protagonista si chiede «Chi sono?») e dunque, facendo ampio utilizzo di flashbacks e di rievocazioni di momenti passati, del labile tentativo di costruzione del sé.
Tutto il romanzo ha la forma di un lungo monologo interiore attraverso il quale impariamo a conoscere la protagonista: sola, debole, indifesa, sensibile e quasi sempre propensa a vedere il bicchiere mezzo vuoto, piuttosto che mezzo pieno. E’ una grande romantica ma non nel senso più melenso, è una ragazza che crede nei sentimenti e che li vive compiutamente, in maniera autentica finendo però per trarre da essi principalmente le componenti meno felici. Ci sono molte frasi che individuano infatti questo vittimismo, questo senso di minimalismo di fronte a grandi questioni e l’esasperante fatalismo: «Le persone ci accompagnano per un pezzo, ma alla fine siamo soli»  (28), «Le nuvole non lasciano spazio alcuno alla felicità» (37), «Il paradiso è dentro di noi, fuori c’è solo l’inferno: almeno, io credo sia così» (75).
La Parenti parla di amore, vita, morte, ricordo e passato ma anche e soprattutto di solitudine, il male invisibile. Ma il romanzo è molto di più. E’ un attenta disquisizione su temi tanto estesi e vaghi che da sempre hanno interessato letterati, religiosi e scienziati: il tempo e la morte. Il romanzo si chiude infatti con una morte, quella della nonna della protagonista ma, più che questa morte, il tema della morte è presente nella prima porzione del romanzo nel quale la protagonista, sola e indifesa, considera il suicidio come possibile scampo al suo male di vivere. Ma il romanzo mette in luce anche un percorso di crescita della protagonista, tra alti e bassi, tra crisi e sofferenze, e contemporaneamente una più completa consapevolezza di sé. Al termine del romanzo osserva infatti: «Morire non è una soluzione, poiché da una resa non si ottiene alcun vanto […] Credo che non confesserò mai di aver voluto morire. Dirò solo che ho scelto di vivere» (133). In questo percorso travagliato e difficile, psicologicamente destabilizzato, è importante la figura materna che, sebbene la protagonista abbia un po’ snobbato per gran parte della narrazione, chiude il romanzo definendola «Una donna con cui ci si può sempre scontrare, ma che non si può fare a meno di amare». Il messaggio della Parenti è chiaro e insindacabile: la vita va vissuta e bisogna rifuggire intenti autolesionistici o idee suicide quando si presentano problemi difficili da superare, stati di solitudine e depressione ed è spesso proprio la morte (di un parente, di un amico) a farci riscoprire il grande valore della vita. Un meraviglioso percorso tra la labile e frastagliata psicologia di un personaggio che potrebbe essere ciascuno di noi, del quale la Parenti si mostra abilissima nello scandaglio dell’io. Complimenti. Anche per la fine e non svelata citazione di McEwan.

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